venerdì 19 novembre 2010

La fine dell'inverno

di Daniela Pasiphae

 

Camminava spedita, sepolta da sciarpa e berrettino di lana, uscivano solo gli occhi. Questi impegnavano chiunque la incrociasse per strada.
Era in ritardo di qualche minuto ma quando arrivò al campanello non ci fece più caso e suonò con decisione. Al citofono nessuno rispose ma qualcuno aprì il portone.

Salivo le scale. Non sapevo bene dove dirigermi. Il palazzo non era nuovissimo ma sembrava ben tenuto e abbastanza pulito. Un piede dopo l’altro salivo quei gradini in marmo non sapendo cosa cercare. Mi guardavo intorno ma niente, nessun indizio.
Poi qualcuno mi prese alle spalle e mi portò in una stanza chiudendo in fretta la porta.
Era lui e mi stava sorridendo. Teneva la testa leggermente inclinata e stava fermo a guardarmi.
Appoggiai la borsa, tolsi berretto e sciarpa e sistemai tutto su una sedia che sembrava lì apposta.
L’appartamento era bellissimo. Arredato minimal e poco personalizzato. Alle pareti dei quadri astratti. Nessun soprammobile, solo sul tavolino bruciava dell’incenso che odorava di sottobosco. Inspirai forte e chiusi gli occhi, mi ricordai delle gite in montagna con i miei.
Così d’impatto l’appartamento sembrava piccolino ma non me ne andai stanza per stanza a controllare. Una porta-finestra molto ampia dava su un terrazzino. I vetri erano appannati, in effetti lì dentro faceva molto caldo.
Poi mi invitò a togliermi il cappotto. Pronunciò l’invito stando in piedi, dietro di me. Io stavo guardando fuori in quel momento, le case e le luci. Udendo la sua voce mi corse un brivido lungo la schiena.
Poi mi voltai e gli diedi il cappotto.
Continuava a sorridere senza dire una parola.

Era bellissima. Se ne stava lì con l’aria spaurita e mi guardava. Sembrava non capire ma io sapevo che aveva coscienza di ogni cosa. Mi inteneriva quel suo fare da dura, come se nulla di quello che avrei potuto farle avesse potuto nuocerle.
Non era così e lei lo sapeva bene. Mi avvicinai, in modo deciso. Le andai molto vicino e mi stupì quel suo rimanere lì inchiodata al pavimento, senza accennare un minimo gesto di disagio. Un passo indietro, un muscolo in tensione. Niente.
Presi le sue esili braccia tra le mie mani all’altezza del bicipite. Era parecchio più bassa di me. La guidai, facendola arretrare, piano, fino a che non si trovò a ridosso del tavolo in cristallo. Lei, senza dire nulla, accennò a sedersi, appena sul bordo, tenendo la testa bassa. Sembrava come se quel mio sorriso la mettesse a disagio. Non capiva che era necessario.
Iimpazzivo a non poterla baciare. Aveva delle labbra splendide. Sensuali e le teneva leggermente socchiuse, come se l’ossigeno necessario per sostenere quel momento fosse maggiore di quello che poteva inspirare dal naso.
Volevo mettere fine a quella sua agonia. A quel suo stato, quel non avere un posto nel mondo.
Andai in camera e la lasciai sul tavolo. Non avevo nulla che facesse al caso mio. Niente nell’armadio.
Quella casa era così poco utile.
Tornai nel soggiorno, stava nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata.
Allora prersi dalla sedia la sua sciarpa e le feci un giro attorno al collo. Lei alzò la testa di scatto e mi fissò.

Continuava a sorridermi ma non riuscivo a capire le sue intenzioni. Pensai che forse ero stata una stupida ad accettare quell’invito. Se solo avessi potuto vedere dietro i suoi occhi.
Ma non mi fu dato. Mi girò la sciarpa attorno al collo e poi sulla bocca e poi ancora, continuò, sugli occhi. Lasciò fuori solo il naso.
Io non potevo nulla. In qualunque caso, qualunque fosse stata la sua intenzione, anche avessi reagito, non avrei potuto fare nulla. Ormai ero lì.
Si allontanò di qualche passo ed iniziai a sentire dei rumori, come se stesse cercando qualcosa. Poi, senza fare rumore, si portò a pochi centimentri da me. Sentivo il calore del suo respiro, finalmente. Qualche centimentro di pelle. Il naso, ma nessun profumo.
Poi mi avvicinò le mani al collo e con una scese e mi accarezzò la schiena. Nessun brivido. Non avevo più caldo, ero gelida. Sentivo freddo.
Le sue mani mi percorsero il volto, mi sfiorarono il naso. Poi, delicatamente, abbassarono la sciarpa scoprendo solo la bocca.
Sentivo quell’unica fonte di calore. Il suo volto adesso emanava calore, le sue narici soffiavano aria e la sua bocca era così umida e morbida.



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