lunedì 29 novembre 2010

Il prete è un pretesto

di Daniela Pasiphae e Luca Caristina



Mio nonno, quando ero piccino, mi portava sempre nel bosco con lui e mi diceva "Lo senti questo rumore?"
Io ascoltavo ma non sentivo nulla. Allora ascoltavo ancora ma ...ancora non sentivo nulla.
Mi veniva da non rompere quel momento di ascolto ma la curiosità era sempre troppa, ogni volta, e così dicevo "Ma nonno, che rumore dovrei mai sentire?". E lui non rispondeva e riprendeva il suo lavoro con la legna.
I colpi che fendevano quella legna asciutta risuonavano al ritmo del mio respiro calmo. E mi chiedevo quale rumore dovessi distinguere, fra il canto della natura circostante e il ritmo incessante di quel lavoro con la legna.
Non potevo indovinare senza riflettere, o forse la risposta era solo un tranello. Uno scherzo.
Uno scherzo spaccacervello, che si sarebbe risolto in un premio non premio.
Mentre trascorrevano così le giornate nel bosco, in quell'autunno già freddo quanto un inverno che si rispetti, invece che esaudire i desideri di mia madre che voleva che io imparassi a fare la legna, mi divertivo a rincorrere ogni essere vivente a me noto.
Mio nonno, di quello che voleva mia madre per me, se ne fregava come un'anatra dei giudizi di un prete.
Tutti i giorni, dopo quell'ormai quasi assillante indovinello sistematicamente pronunciato dai baffi del padre di mio padre, mi perdevo e ritrovavo, e così, fino a che non venne l'ultimo giorno di raccolta della legna.
"Il prete è un pretesto", ripeteva il nonno. E ancora una volta mi portò con sè lontano dalla radura del villaggio.
Non ero per nulla certo che volesse insegnarmi quel suo lavoro, buttandomi sulle spalle ancora giovani un vincolo di fatiche. Una promessa così pesante da portare.
Il mosaico doveva ricomporsi. E così è stato.
"Nonno, sono quasi tre settimane che mi chiedi ogni giorno se sento un qualche rumore ed io non capisco a cosa ti riferisci, ma ammetto che ci possa essere qualcosa che io non capisco - però, vedi, il problema è un altro, adesso".
I suoi occhietti cercavano di guardarmi.  Vedevo che si sforzava ma le cataratte gli impedivano di distinguere i miei contorni. Sapeva dov'ero - e dov'era la legna. "Che problema c'è?" mi chiese dolcemente.
"Vedi nonno, da qualche giorno hai iniziato a ripetere la frase "Il prete è un pretesto" ma io non riesco a capire a cosa tu ti riferisca. Oggi tornerò a casa e mamma mi chiederà "Allora, hai imparato a fare la legna?" ed io cosa le dirò?"
"Figliolo. Certe cose si imparano solo stando seduti sotto la chioma di un albero. Dunque, questa sarà la tua risposta una volta tornati. E madre, tacendo, capirà." "Nonno, mi fido di te", risposi d'istinto, e continuai."Ma allora, sto rumore???"
"Non riesci a sentire il rumore che produce la vita di tutte le cose perchè la tua mente è impegnata a cercare di interpretare cosa devi sentire".
Non riuscii a dire nulla, in quel momento. Finì che nonno non lo rividi più.
Quando tornai a casa da mamma e le spiegai che non avevo imparato a raccogliere e tagliare la legna, lei quasi si mise a piangere. So a cosa pensò. Senza mio padre, come avremmo fatto per il prossimo inverno? Ma mia madre era una brava donna e molto comprensiva, così mi diede la possibilità di spiegarmi "Cosa hai imparato, dunque, in queste settimane?"
Non risposi. Non avrebbe compreso. Non era la sua lezione, bensì la mia.
E mi ritirai lasciandola nel pianto, come mio padre fece con la nonna, tanti tanti anni fa.
Il nonno ci lasciò, trasformandosi in un ramo secco. Ed io, ormai colmo del suo messaggio di vita lo potai, sollevando quel suo attrezzo dal legno ancora lucido di fatiche.
E così diventai un taglialegna.
Solo una cosa, ho dimenticato di dirvi.
Prima di scoppiare in lacrime, mia madre mi disse "Sei come quel... quel... tuo padre!" e mi tirò uno schiaffo.
Mi ritirai col ricordo di cinque dita stampate in faccia ma questo non avevo dimenticato di dirvelo, in realtà. E' solo che, un po', me ne vergognavo.
Spero non mi riteniate uno smidollato.
O ancor peggio uno sfigato.
Vabbè, vado a mangiare che la pastina è pronta.


Finale ermetico di Luca Caristina:
"Porcaccia, ecco cos'era sto rumore. La batteria dell'amplifon...."

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