giovedì 25 agosto 2011

Sulla falsità (che poi, forse, è solo paura)

di Daniela Coin
tratto da The Disciples



Insomma io nacqui per saldare per bene questa unione convenzionale.
Era il duemilatre, venticinque dicembre. Come Gesù. Però io non nacqui in una grotta bensì al Guy’s Hospital di Londra. La mia famiglia era a Londra in quel periodo. Un bel periodo per noi. Io non lo ricordo ma so che eravamo felici. Mia madre suonava il pianoforte nel nostro attico in quel di Knightsbridge. Mio padre rientrava la sera e la baciava, poi veniva a giocare un po’ con me, facendo facce sceme, e infine si sedeva a tavola. Un po’ di violini in sottofondo e una signora gallese col grembiule sempre pronta a servire loro delle pietanze squisite.
Era tutto perfetto. Non mancava nulla.
Nulla.
A parte l’amore.
Tutti i loro gesti erano – convenzionali. Studiati. Imparati dalla società e dai film. Il bacio appena rientrava a casa, la mano davanti alla bocca quando tossiva. Il sorriso di mia madre che ricalcava quelle splendide donne dei film della metà del novecento. Sorrisi da film. Da prostitute ben pagate.
Ma mia madre non aveva bisogno di soldi. Aveva tutto. Una villa enorme a Melbourne, un attico a Vienna. Cinque studi di architettura in tutto il mondo. Aveva delle passioni. Suonava il pianoforte ed era molto brava. E poi amava dipingere. Sì è vero, faceva schifo in cucina ma questo, coi soldi che aveva, non era di certo un problema. Non capivo proprio come potesse sacrificare la sua vita insieme ad un uomo che non amava veramente.
Sì, stavano bene, si volevano bene e si rispettavano.
Un’unione così andava bene per la gente povera, quella che non riusciva a pagarsi l’affitto da sola ed aveva bisogno di sommare il proprio stipendio con quello di un altro essere, possibilmente di sesso opposto. Poi, tanto per essere certi che questo non scappasse, ci facevano uno o due figli e poi, crescendoli, gli spiegavano che erano molto poveri e che non potevano comprare loro i giochi che tanti bambini a scuola con loro avevano. Allora questi piangevano ed i genitori gli urlavano di stare zitti. La sera litigavano, a volte si tradivano. E altre volte - anche!
Non so, forse era solo paura.
Sai, la solitudine, l'angoscia. Un brutto affare.
Ma mia madre poteva evitare questa infinita tristezza. Secondo me poteva. Anche starsene da sola. Magari con me. Da soli io e lei. Tanto andava comunque sempre a finire che mio padre, per lavoro o per donne, tornasse la sera molto tardi, lasciando comunque me e mia madre da soli tutto il tempo.
Venne poi il giorno in cui quell’equilibrio – quella finzione – cessò di esistere. Non so bene come accadde, certe dinamiche accadono e basta e tu sei talmente incantato, lì, dalla loro bellezza che non riesci ad accorgerti del procedimento. Ti sfugge proprio. L’attenzione, tutta la tua attenzione, viene rapita dal fascino di quel gesto o di quell’istante in cui accade. Non c’è una regola. Non hai nemmeno il tempo di pensare che possa esistere una legge che spieghi come accade quell’istante in cui le cose cambiano per sempre. Però succede sempre. Tutti i giorni, tutti i momenti, da qualche parte nel mondo, c’è qualcosa che sta cambiando per sempre la vita di qualcuno.
Io avevo quasi sei anni e mio padre rientrò col più banale degli indizi al collo. Come nei film anni ottanta. Una macchia di rossetto sul colletto – bianco – della camicia. Io non ne capivo niente di cinema e non sapevo che le donne sporcassero i colletti delle camicie degli uomini con cui andavano a letto. Mi sembrava ridicolo. Eppure c’era chi lo faceva.
Mio padre rientrò come nulla fosse. Mia madre arpeggiava una melodia inventata tenendo il suo violino appoggiato alle gambe, raccolte sul sofà. Io me ne stavo buono buono sul tappeto del soggiorno a giocare con tantissimi animaletti di plastica. Avevo un’arca di Noè. Anzi, mi sa che Noè lo surclassavo di brutto! Coi cavalli e con le pecorelle, che erano quelle che avevo rubato dal presepe, sono certo che lo fregavo proprio! Allora mio padre si avvicinò a mia madre, come al solito, e le diede un bacio. E lei gli piazzò uno schiaffone nel muso che gli fece volare gli occhiali addosso alla parete, spaccandoli senza pietà. Poi si alzò con grazia ed amarezza, prese il telefono e chiamò un taxi. Mi infilò il cappottino, era bello. Aveva dei bottoni grossi davanti ed un cappuccio che mi faceva sembrare un folletto. Ed era tutto verde perché in quel periodo era Natale a Londra. E anche dalle altre parti, si capisce. Mi portò in un grande hotel ed io, di strada, mi immaginavo mio padre, accecato, che si scolava una bottiglia di quelle che teneva lui nella sua speciale cantina-frigo.

lunedì 15 agosto 2011

Da seguir le parole con l'indice di una mano

di Rocco Bonelli



Io sono l'ultimo gladiatore nella nuova Roma.
Vado nell'arena per competere contro la distruzione e vinco.
Scrivo un proclama e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i proclami, come del resto sono contro i principi.
Parlo sempre di me perchè non voglio convincere nessuno, non ho il diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si faccia l'idea che gli pare.
Sono contro l'aborto perchè rifiuto una soluzione comoda per una maggioranza che ha reso più facile il coito.
Questa libertà la vuole il potere dei consumi.
Rendendo il coito più facile, esso impone l'accesso alle lusinghe consumistiche.
Così, la coppia è più consumatrice che procreatrice e la libertà sessuale della maggioranza rivela solo convenzionalità, obbligo ed ansia sociale.
Non credo nel progresso, non credo nello sviluppo e nella fattispecie in questo sviluppo.
L’affannoso tempo presente non era il tempo dei contadini, serpentino, ciclico, ritmato dalle stagioni, dai soli e dalle lune. Il povero, infatti, coniuga i verbi al presente, non conosce le lusinghe ingannevoli del futuro, contrariamente al ricco che costruisce strategie nel tempo tracciando precari piani e ipotetiche prospettive.
Non posso soffrire i sapienti, preferisco di gran lunga le persone che possibilmente non abbiano fatto nemmeno la terza elementare.
 Non ci metto della retorica in questa affermazione.
 Lo dico perché la cultura medio-borghese è qualcosa che porta sempre alla corruzione.
Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto solo i primi anni delle elementari ha sempre una certa grazia, che poi va perduta attraverso la cultura.
Non è per me stesso che mi rammarico, non sono in pena per me.
Piuttosto sono rattristato dall'esser consapevole della forza distruttrice del progresso scientifico.
Per questo, dico, io prevedo un epoca nella quale ci sarà un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di schiavi e quindi produrre dittature senza lacrime.
Una sorta di campo di concentramento ideale in cui le persone saranno private di tutto, ma ne saranno piuttosto felici.
Oh no, ho detto fin troppo ma non ho detto abbastanza.
Ho posato gli attrezzi e i fili, ho spaccato la legna e acceso il fuoco, ho illuminato la mia casa e così, nella sicurezza della notte, me ne stò zitto come un topo perchè gira voce che Dio è nella casa.
Mi sono svegliato stamattina con la TV che strepitava.
Mi preparavo la colazione guardando il telegiornale.
L'oceano era un mar rosso ma non c'era nessuno che lo dividesse a metà.
Niente insalata fresca poichè le piantagioni erano contaminate.
La Sicilia è scomparsa a mezzogiorno e dicono che la borsa è in grave pericolo e la NASA ha fatto esplodere la luna.
L'atmosfera è ormai priva di ozono e mi sono innamorato ancora una volta della ragazza sbagliata.
Hanno arrestato il sindaco per associazione a delinquere, l'Arena di Verona venduta ai cinesi, omosessuali vagano per le strade in gruppi, picchiatori di froci con i cric, le lesbiche contrattaccano.
E i talebani hanno comprato la bomba atomica, se perderanno, vogliono andarsene in grande stile.
E non c'è niente da mangiare che non abbia il fetore di qualche cadavere scaricato nel Gange.
Beh, almeno questa è vera: qui nessuno sa cosa fare.
Dicono che ci sono stati almeno 200 morti in una piccola provincia americana, un automobilista impazzito è entrato in un senso unico uccidendo tutti quelli che incontrava, ora è in carcere e arde luminosamente.
Gli opinionisti dicono che dobbiamo fare il male perchè ne derivi il bene.
Beh, conosco una cosa che è vera per davvero: questo qui è un circo ed io non ne posso più.
Piccoli medici bene intenzionati, astemi totalitaristi in cura disintossicante, gli alticci, quelli che barcollano e gli ubriachi che cadono in terra.
Ho gambe e braccia contratte, lo stomaco che rigurgita il cibo.
Hanno scoperto una nuova specie di scimmia, era un infiltrato che mangiava pneumatici dopo aver stirato il capo del governo.
Dicono che il papa è morto, nessuno riesce a ritrovare la sua testa, sono settimane che è stata smarrita.
Sembrava che fosse così in forma.
E io non ne posso più.
Rocco Bonelli