martedì 23 novembre 2010

Altea ci mette solo la bocca

di Daniela Pasiphae 


Altea, a guardarla così, pareva blu.
Pareva poi che qualcuno le avesse cavato gli occhi - forse un corvo stizzito, quand'erano invece solo le ombre che gli zigomi creavano, colpiti da una luce oltremare che spuntava perversa da sotto i suoi piedi.
Come immolata, stava ritta in punta di piedi sul bordo della piscina.
Nessuno la vedeva, realmente, ma tutti la guardavano - e ridevano, sotto ad una specie di peluria che, fra loro, avevano l'ardire di definire "baffi". Qualcuno ancora sgomitava al vicino ma nessuno osava proferire parola alcuna.
"Smettete di ridere, inutili ragazzini!"
Altea, quando parlava, non ci metteva la voce ma solo la bocca. Le piaceva fossero viola le sue labbra. E a tutti - piaceva.
Quel giorno camminavano per lei le matricole dal numero 755 al 770.
In riga, prima, in fila, poi. Erano tutti ragazzi dalla pelle dorata, capelli nero corvino ed occhi color carbone. Ardeva in loro un chiaro istinto ad annientarsi l'un l'altro ed era questo, fondamentalmente, ad eccitare la Dea.
Fu nel momento che lei sempre preferiva, quello della scelta. Entrò Gu' e le sibilò dolcemente ad un orecchio "Altea vieni con me, ti prego".
Gu' era il fratello di quella che ormai tutti riconoscevano come Dea.
La adagiò sul letto e su di lei si permise di sfogare i suoi istinti primordiali che da diverse ore non trovavano pace. Il tutto durò appena cinque minuti.
"Grazie sorella" - "Fratello, io vivo per questo".
Uscì così, sfilando tra servili donne indiane che tremavano al solo pensiero di guardarla, e tornò ai suoi ragazzi. Se ne stavano ancora tutti a bordo piscina - avevano smesso di ridere.
Incapace di decidere, la Dea urlò ad una delle donne che, poco lontano, la osservavano, in attesa di ordini "Mandatemi a chiamare quell'idiota di Carlos!".
Detto fatto, di lì a poco comparve da dietro una tenda, un omino piccolo piccolo, con gli occhietti strizzati che Dio solo sa come faceva a vedere dove se ne andava!
"Carlos, vieni qui! Ho sempre sospettato che tu sia mezzo cieco ma stavolta ne sono quasi certa! Dimmi, Carlos, cosa ti sembra di questi ragazzi?"
Ma Carlos tremava come un cucciolo malmenato e non osava alzare lo sguardo alla donna. Altea - lei restava sempre nuda, questo va detto.
"Carlos, di questi quindici che ho qui davanti, forse uno è vagamente accettabile, gli altri li puoi riportare dove li hai trovati! Vai!"
Poi si rivolse alla matricola 759 "Tu, rimani fermo dove sei. Gli altri se ne tornino da dove sono venuti!"
Carlos scivolò come il primo serpente, colpevole fino al midollo. - Non era mica colpa sua, a dirla tutta - gli indios iniziavano a scarseggiare e Altea aumentava le sue pretese di giorno in giorno.

- Ragazzo, come ti chiami?
- Moylan, signora.
- Moylan, entrare nel mio harem significa vivere come un re ed avere da mangiare ogni giorno. Da dormire, acqua a volontà e a disposizione il sesso, a tuo piacimento.
Oramai sei entrato in questa spirale e da qui non tornerai indietro.
L'indios fissava la donna, immaginandosi avvinghiato alla sua carne, sudato ed ansimante.
- Ragazzo, quella faccia da idiota non è un buon inizio. Ti sei deliberatamente preso un impegno, da qui si va avanti o si finisce a dormire con mio nonno. Hai carta bianca, fammi ciò che vuoi.
Si sdraiò a terra, Altea. Le labbra viola e la pelle lucida, accaldata.
Fissando la giovane matricola, teneva la testa leggermente inclinata, quasi non riuscisse a comprendere come mai lui, a differenza di coloro che prima di lui avevano intrapreso le stesse vie, non si buttasse bestialmente addosso al suo corpo umido.
Moylan la fissava. Aveva cambiato sguardo, senza più avere paura.
Compassione - era questo il sentimento che ora sentiva di provare per quella donna, lì, davanti a lui, pronta a perire sotto la sua lancia - povera di vita e ricca di brama.
Non capiva, Altea. E non sapeva se cacciare l'ennesimo urlo o lasciare che il ragazzo si esprimesse. Così si lasciò vincere dalla curiosità.
Moylan, in ginocchio davanti a lei. La testa inclinata, così, per imitarla.
Con un gesto delicatissimo richiuse le cosce divine, da poco spalancate per ricevere la sola energia ormai in grado di tenerla in vita - di farla sentire vera.
Fatto ciò, allungò la mano in un leggero tocco della sua pelle. Una carezza, qualcosa che ormai aveva dimenticato. Con appena due dita, percorse la linea soffice che le disegnava il volto, staccandolo dallo sfondo color nocciola.
Dagli zigomi al mento - raccogliendo piccole gocce salate di una donna mai amata.

Racconto in concorso per “THE SEVEN DEADLY SINS: I SETTE VIZI CAPITALI” Tema: LUSSURIA (dedizione al piacere e al sesso)

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