martedì 7 dicembre 2010

Adesso a te, lurido pisciatore di inchiostro!

di Rocco Bonelli



Avevo appena avuto un incubo: degli esseri con facce simili a cicatrici di appendicectomie intrecciavano le mie budella per farne sacchi per cadaveri.
Mi ripetevo che stavo sognando, ma non funzionava.
I bastardi, che si facevano chiamare Cenobiti, continuavano a sferruzzare.
"Avremo tutta l'eternità per conoscere la tua carne!"
Rimasi a guardare fisso fuori dalla finestra per gran parte della mattina.
Insetti si suicidavano contro la finestra e il mio cuore si commuoveva per quelle piccole mosche.
Libero un cane trottava nella strada e le cose che annusava sapevano un po' di lui stesso.
Tirai su un giornale di quattro giorni prima.
"Il sangue non è buono" pensai "quando lo dai, al massimo ti danno un bicchiere di succo d'arancia, quando invece lo prendi, finisci in prima pagina."
Libero il cane trottava nella strada e le cose che vedeva erano più piccole di lui.
Me ne stavo lì, ingobbito, con un pigiama largo addosso, fingendo ancora di essere uno scrittore.
Scrivevo a mano, su quaderni di carta protocollo.
A volte scrivevo delle mie ex, del volto di mia madre che mi fissava dal fondo del lavandino, di Dio e di ammutinamenti in paradiso.
I miei racconti avevano sempre un lieto fine.
Gran parte delle storie, comunque, riguardavano i pazienti.
Tutti mi vedevano solo come un inserviente, non sapevano che custodivo un segreto.
Un segreto che mi faceva sopportare la fatica, impedendo ai miei piedi dolorandi e al mio stomaco di cedere.
Era il mio segreto.
"Li leggeranno e li pubblicheranno" mi dicevo " e tutti proveranno stupore per la mia descrizione della felice vita di provincia."
I pazienti pensavano che io parlassi sempre volentieri perchè ero un inserviente o come si dice oggi un operatore socio-sanitario.
Non sapevano che in realtà ero uno scrittore a caccia di materiale.
Volete degli esempi?!
Rolando era una checca con la faccia da vecchia sdentata e gli occhi cancellati.
Conoscevo già la sua storia, non ero un sempliciotto, non possono permetterselo gli scrittori.
Quello che faceva con un ex tossico era un atto contro natura, contro Dio e comunque io me ne dispiacevo e nei miei racconti gli facevo sposare entrambi con due belle fighe.
Poi c'era quel ragazzo autistico che se lo menava a sangue.
Gli parlavo con estrema facilità, come quando si conversa con una cameriera.
Se gli avessi detto che ero uno scrittore, lui si sarebbe chiuso a riccio.
E l'intera scena girava e girava per l'aria senza suono, senza senso!
I miei racconti avevano sepre un lieto fine perche io sapevo dove fermarmi.
Avevo capito qual'era il problema di tutte le storie: se le facevi durare troppo, terminavano tutte con la morte.
Mi prendevo cura di un ciccione ritardato da quando sua madre era morta.
Era alcolista e morì in ospedale itterica e agonizzante.
Il ciccione ne era quasi impazzito.
Da innocuo sottosviluppato qual era si era trasformato in delinquente.
Faceva scoppiare le condutture principali con martelli pneumatici, limava i cavi degli ascensori finchè non rimaneva che un filo sottile, trasformava le fogne in cisterne d'acqua, gettava nelle piscine anguille e cardirù ( Il cardirù è un piccolo pesce o verme simile all'anguilla largo un centimetro e lungo dieci, che predilige i banchi fangosi del Lago di Garga, che ti guizza su per il cazzo o nel buco del culo o nella figa e lì s'insedia con i suoi aculei aguzzi.
Non si sa bene per quali motivi precisi, visto che nessuno si è fatto avanti ad osservare il ciclo vitale del Cardirù.
Non erano pazienti, erano materiale grezzo.
Anche quello spostato che se ne stava nell'angolo in silenzio.
Si alzava sempre presto al mattino, e strigeva le mani attorno alla tazza di caffè decafeinato, quasi senza berlo e fissava tutti freddamente, perso nei suoi sogni.
Una coppia di simopatici urlanti oscillava da alberi e balconi cagando e pisciando sugli altri pazienti. ( Un simopatico è un tizio convinto di essere un primate.
E' una malattia tipica dell'esercito, curabile con il congedo).
Durante una riunione d'equipe, registrammo il caso, il primo e l'unico, di congiunzione sessuale con un tubo di scappamento.
Ritenemmo che l'atto fù effettuato consapevolmente.
Consultai il diretto interessato ed arrivai a modificare la parte posteriore della mia Panda, per neutralizzare queste zone erogene.
In definitiva, rischiando continuamente assurdità e morte, come un acrobata mi arrampicavo sul bordo della corda che mi ero costruito, equilibrandomi sulle travi negli occhi, sopra un oceano di volti.
Uscii di casa senza cappotto, una cosa che mia madre non avrebbe permesso.
Le grù dei cantireri sembravano impiccati pendenti dal cielo.
Il mio pigiama mi si appiccicava addosso come un sudario.
Libero il cane trottava nella strada e faceva sogni agitati su una vita precedente ormai dimenticata, di quando navigava su imponenti vascelli per mari sconosciuti.
Ecco che mi apparve davanti una casetta dentro alla quale erano rinchiusi tutti i sogni e le speranze.
Una voce di donna vicino all'orecchio disse: "Perchè non entri?
Sembri stanco e la tua pelle è fredda."
Mi voltai verso alla donna e le diedi un caloroso saluto, ma sapevo che se mia madre fosse stata lì mai mi avrebbe permesso di accettare quell'invito.
Pensai che avrei potuto gettare ogni cautela in balia degli eventi, ma mia madre, con le sue tisane e le sue attenzioni era stata la mia sola salvezza.
Così me ne tornai a casa, ad aspettare che tornasse dalla spesa, cantando Halleluja.