mercoledì 24 novembre 2010

Blu

di Daniela Pasiphae
tratto da "Noraelle To Mars"




Il rumore assordante della pioggia battente non le permise di udire l'arrivo del friesian.
Una zampa dopo l'altra, sbattuta su quel suolo sterrato, con forza. A volerla rompere per farne uscire l'inferno del sottosuolo. Per sentirsi a casa, forse.
Caronte, il traghettatore di anime.
Ne portava una – ed era bella.
Jared era, a vederlo, davvero un cavaliere poco comune e dall'aspetto surreale. Sembrava uscito da un libro fantasy di Tolkien.

MA DOVE STIAMO ANDANDO? – le urlò.
Un grido a sovrastare il rumore della pioggia, del vento. Sovrastò anche il tuonare di quell'istante.
Lei si sentì male, un vuoto dentro.
Sì voltò, lentamente, come chi ha una pistola puntata alle spalle. Voleva vedere il suo assassino. E lui se ne stava lì, un po' bagnato dalla pioggia, in sella al nero destriero, con aria spaurita e vaga. Gli occhi sbarrati, il fiatone.
Restarono così per un po'.
Nei pensieri di Nora non c'era niente di concreto. Non un verbo, un aggettivo, che avesse un senso se posto accanto a quello che le veniva in mente subito dopo.
Non c'era verso. Provava a riflettere con calma ma non era davvero possibile.
Poi gli stivaletti del discepolo – neri – balzarono a terra. Caronte accennò qualche movimento nervoso. Aveva ancora l'adrenalina che gli pulsava nelle vene e non sapeva come scaricarla. Sbatteva lo zoccolo a terra. Avesse avuto le ali sarebbe volato via.
Jared teneva le briglie della bestia nera. Si avvicinò a Noraelle che non sembrò stupita o scomposta.
– Dove siamo? – Perché siamo qui?
Non lo guardava, lei. Non ci pensava nemmeno.
Teneva il capo leggermente di sbieco, gli occhi a guardare le fronde degli alberi.
– Dovevo andarmene!
Lei parlava rivolta ai rami. Quasi ci fosse un santo al suo cospetto, teneva uno sguardo perduto tra i raggi di luce della sua aureola. E non lo guardava.
Qualche mente coerente e scientifica l'avrebbe definita "in stato di shock". In realtà, era semplicemente in una dimensione ultraterrena, immersa in meccanismo di alienazione della mente dal corpo. E così parlava come la stesse interrogando Dio in persona. – Lievemente, sussurrava.

– Qui cosa c'è? – le chiese.
– Il bosco.
Abbassò poi lo sguardo su di lui.
Jared.
Era proprio lui ed era proprio lì.
Era serio ma guardava con occhi – blu – stupiti.
I capelli scendevano giù dalla curva della sua testa, lucidi e leggermente bagnati. Gli contornavano il volto, incorniciandolo. Un po' di matita nera sul bordo della palpebra inferiore. A rendere quel blu ancora più avventato.
Pericoloso, se vogliamo.
Noraelle guardava lui e lui, lei.
La studiava con fare curioso. Il capo alzato. Ma lui non vedeva i santi tra le fronde. Vedeva solo una donna – i capelli raccolti – qualche boccolo che cadeva giù. Così, solo per dire che erano lunghi e scuri i suoi capelli. Una veste bianca dell'antica Grecia.
Sirha era l'unica dei Discepoli che vestiva di bianco. Era spirito e non conosceva la carne come la conoscono tutti.
Jared continuava a fissare Noraelle. Non si chiedeva nulla su di lei, solo non capiva l'alienazione che mostrava.
In quel momento così, come se qualcuno avesse chiuso un rubinetto improvvisamente, smise di piovere. Un uccellino canticchiò e Noraelle guardò tra gli alberi come per scoprire l'autore di quelle note.
Non più i santi, dunque. Ma solo un uccellino colorato.

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