venerdì 26 novembre 2010

Figliare

di Rocco Bonelli



Non c'è uomo senza disgrazia come non c'è inverno senza freddo.
La mia disgrazia era che non avevo figli.
E pregavo di giorno e di notte, pregavo Dio in ginocchio e in altre posizioni che mi mandasse dei figlioli:
"Oh signore, dev'essere divertente avere un marmocchio con cui andarsene in giro.
Un piccolo me stesso in cui infondere le mie idee.
Un modo per affermare che la vita non è sprecata.
Terrei il monello lontano dagli insegnanti e lo istruirei per conto mio.
Lo difenderei dalle insidie di una folla.
Gli insegnerei ad accendere un fuoco, suonare la chitarra e se s'imbattesse in un cacciatore a sparargli in testa.
Cercherei di essere progressista per quanto possibile a patto di non dovermici sforzare troppo.
Alleverei il buon figlio che mi conduca alla tomba e mi faccia compagnia una volta diventato un rimbambito sdentato e rugoso, un vecchio matto e farfugliante seduto tutto solo a pisciarsi nel pannolone, un vecchio malato a suo agio nello sporco."
Dovevo leggere poesie in un caffè, ma arrivai in anticipo, per cui ordinai una soda e mentre stavo pensando alla mia infelicità e alla felicità di quelli che hanno i bambini, incontrai un arabo:
"Voi non avete quella cosa delle 72 vergini in paradiso?
Ma scusa, non sarebbe più semplice se i kamikaze
fossero accolti in cielo da 72 puttane esperte?"
L'arabo s'imballò e per poco non fece una trottola di me.
Recitai come si deve la mia roba e la feci franca, scesi dalla pedana e dopo un po' ero di nuovo in macchina guidando verso casa.
"Che cos'hai?"
 mi domandò Gesù seduto sul lato passeggero.
- "Vorrei avere dei bambini."
- "E poi che cosa vorresti?"
Ed io risposi per la seconda volta che volevo dei bambini.
- "Ti chiedo un'altra volta..." disse Gesù "...che cosa vorresti poi?"
Risposi per la terza volta che volevo dei bambini.
Rincasai ed il cortile era pieno di bambini.
Mi trovai in casa né più né meno di un centinaio di bambini e tutti quanti mi chiamavano "papà" e mi chiedevano da mangiare.
Diventai pensieroso: "con che cosa si può sfamare questo esercito di bambini?"
Vendetti le mie chitarre, comprai tanta farina e poi andai per il mondo a guadagnar loro il pane.
Andando per il mondo una sera arrivai ad una fattoria.
Dentro il recinto c'erano alcune migliaia di vacche e dodici mandriani.
"Buona sera, ragazzi."
- "Salute, amico."
E cominciammo a parlare del più e del meno finchè non dissi loro che avevo piantato baracca e burattini per guadagnare da mangiare a un centinaio di bambini.
I mandriani mi raccontarono che a loro andavano bene le cose, ma c'era un maledetto ritardato che ogni notte rubava tre mucche.
Tanto per mettere la vita in riga replicai:
"Vediamo di fare un patto: che cosa mi date se ve ne libero io?"
Conclusero che mi avrebbero concesso un terzo di tutte le vacche se fossi stato così bravo da tenere il ritardato lontano dalla fattoria.
Allora mi misi in agguato nel recinto.
Verso le tre di notte arrivò il ritardato e fece per entrare nel recinto.
Era un minorato fisico e psichico, sulla trentina, espressione ebete. I suoi occhi erano idioti, la fronte e il mento sfuggenti, un lurido ciuffo nero si stendeva sul suo cranio a pera, aveva un naso tendente a formare una linea dritta con la fronte, una bocca larga, labbra pendule e sottili.
Gridai senza complimenti: " Non ti avvicinare!"
Ma il ritardato rise fragorosamente: "Chi sei tu che mi vuoi impedire di entrare nel mio recinto?
Ti colpirò con la mia onda energetica!"
-"Io sono il guardiano della fattoria e mangio pietre e carne di deficente.
Vediamo chi di noi due è capace di tirare fuori l'acqua dalle pietre!"
Il ritardato, improvvisando una goffa mossa di karate, colpì un gran masso con un pugno e lo sbriciolò, ma non ne uscì una goccia d'acqua.
Allora presi un pezzo di caciotta che avevo dentro la bisacca e come lo strinsi, cominciò a gocciolarmi il siero tra le dita.
Il ritardato rimase sbigottito e disse:
"Vedo che sei più forte di me.
Sai cosa ti dico?
Vieni a fare il maggiordomo a casa mia, perchè mia mamma è molto tempo che ne cerca uno."
Concordammo uno stipendio da capogiro, subito dopo mi assicurai che i mandriani rispettassero i patti e visto con chi avevano a che fare così fecero.
Quando giungemmo a destinazione trovammo la madre del ritardato ad attenderci.
"E questo tizio chi sarebbe?"
-"L'ho preso a servizio per tre giorni"
"Bene", disse la madre "vediamo chi dei due è più forte!"
Il ritardato afferrò la sua clava di cento chili e la lanciò ad una cinquantina di chilometri.
Poi mi disse: "Vai a prendere la clava, poi vediamo fin dove sei capace di lanciarla."
"D'accordo" replicai "ma prendiamo le provviste per almeno tre giorni, voglio farti vedere di che pasta sono fatto."
Cammina cammina trovammo la clava.
Ero esausto e mi ci sedetti sopra.
"Beh, che fai?"
chiese il ritardato
"tocca a te tirare!"
"Aspetto che tramonti il sole perchè non voglio colpirlo, né voglio che la clava rimanga là su in alto.
Nel sole c'è mio fratello che fa il fabbro e se ti prende la clava, sono sicuro che non la vedi più."
-"Ah, se devi fare tanto danno, forse è meglio che tiri io al posto tuo."
"Come vuoi"
risposi io.
Il ritardato afferrò la clava e la gettò indietro, verso casa.
La sera raccontammo alla madre l'accaduto e tutti, compreso io, ci stupimmo della mia forza straordinaria.
Il giorno dopo la vecchia ci mandò a prendere l'acqua.
Giunti alla fonte il ritardato riempì due otri enormi e fece per ripartire.
"Come si fa a prendere tutta quest'acqua portandone via solo un po'?"
Così dicendo estrassi il mio serramanico e cominciai a scavare intorno al perimetro della fonte.
"Che cosa fai?"
chiese il ritardato.
-" Voglio prendere tutta la fonte in una volta sola."
Sbalordito il ritardato replicò: "Lascia stare, è meglio che non rischiare di guastare la fonte, porterò io il tuo otre."
E così trascorse anche il secondo giorno.
La mattina sucessiva la madre ci mandò a far legna.
Stavo legando le viti una all'altra, per i tralci, perchè volevo formare una fune per far non so che di grandioso, quando il ritardato m'interrogo a proposito del mio operato.
"Che vuoi che faccia?!"
replicai
"Non voglio tornare a casa con della legna secca, voglio portarmi dietro tutto il bosco!"
"Non sia mai che tu strappi dalla terra questo amato bosco!"
disse il ritardato
" Piuttosto porto io un albero al posto tuo!"
Così il poveraccio si caricò un secondo albero sulle spalle e poi si avviò ansimando verso casa, mentre io camminavo dietro di lui fumando come un signore.
Era passati tre giorni ed era giunto il momento di percepire il mio stipendio, ma dopo cena, la madre convocò il figlio per vedere come farmi perire.
"Non è una bella cosa che domani se ne vada da casa nostra.
Stanotte, mentre dorme gli andrai a spaccare la testa con una mazzata.
Hai capito?!
Bene in fronte, che muoia!
Perchè mi secca di dovergli dare tutti quei soldi."
Avevo ascoltato tutto da dietro l'uscio, ma non mi spaventai poichè sapevo che il figlio era stupido oltre ogni limite.
Quindi andai in camera ed infilai nel letto un grande ciocco di legno, poi dopo averlo coperto bene m'infilai sotto il letto e per ingannare l'attesa mi sparai una paio di rasponi.
Finalmente un colpo di clava colpì il ciocco e subito dopo vidi ritornare il ritardato da sua madre.
I due, che abitualmente si lasciavano andare a pratiche incestuose, ripresero a copulare, convinti di avermi tolto di mezzo.
Il mattino seguente, con grandissima meraviglia, la madre mi domandò:
"Come hai dormito stanotte, caro?"
-"Bene, grazie.
Soltanto mi è sembrato che mi passasse un sorcio sulla fronte."
Vedevo bene che il ritardato e sua madre avevano paura di me e quindi mi proposi con decisione di restare ancora un po' al loro servizio, ma questi, per vedermi andar via, mi offrirono un compenso extra a quello già patuito.
Andai alla macchina e filai con le tasche gonfie.
Gabriele, Sofia, Elisabetta, Tommaso, Pietro, Raphael, Giacometto...
Mi occorrerebbe un cazzo di computer per prendere nota di tutti i nomi dei miei figli.
Spero che questa storia del piccolo non diventi esagerata.

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