lunedì 31 marzo 2014

Rachel - Ep. 6

di Daniela Pasiphae

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Faceva sempre così quando qualcuno le si avvicinava troppo.
Non parlo di vicinanza fisica, quella la accettava e le serviva e la tollerava bene.
Quello che non riusciva a sopportare, inconsciamente, erano le persone che si avvicinavano troppo al suo essere intimo ed inconscio, alla sua anima e a quello che era veramente lei come persona.
Le capitava allora di entrare in conflitto con se stessa e di creare migliaia di occasioni per fuggire.
Lo stesso faceva con tutte le cose che potevano darle felicità.

Col tempo si era resa conto che il suo atteggiamento era addirittura patologico. Non appena qualcosa le si avvicinava quel poco da darle l'idea che sarebbe potuta essere felice ed amata, lei lo distruggeva. Distruggeva in modo sistematico e lo faceva sempre nel modo migliore, cercando cioè di non sembrare che la responsabilità fosse sua. Dare la colpa agli eventi e al fato era la sua specialità.

Un'altra attività, in parte parallela, che amava tanto fare era quella di mantenersi sempre una via di fuga. Cercava sempre di guadagnarci qualcosa ma senza rischiare. Creava strutture secondo cui pareva che fosse in gioco quando, in realtà, manteneva sempre un piede in salvo, pronto per ritrarsi al primo accenno di vuoto.

Quello che Rachel temeva era il vuoto dell'abbandono. Il rifiuto. Il nulla.
Temeva di donarsi a chi poi non l'avrebbe compresa, temeva di aprirsi con chi non avrebbe mai saputo intersecarsi con la sua dolcezza e, più di tutto, temeva di mostrarsi com'era a chi non avrebbe mai e poi mai compreso che, dietro ai suoi modi da dura ed anaffettiva, si nascondeva solo una grande paura di mettersi in gioco e di lasciarsi voler bene.

Rachel giustificava il tutto appellandosi al fatto che i suoi genitori l'avevano sempre fatta sentire una reietta, non voluta, non amata, poco considerata.
Un bimbo viene al mondo col solo desiderio di amare ed essere amato, di ridere e di scherzare, e ben presto impara che non c'è niente da ridere, c'è poco da amare e c'è molto da piangere.

Lasciò Cris e la casa dei suoi genitori ancor prima che essi tornassero.
Rivederli la metteva in uno stato di soggezione. C'era il rischio che potesse scoprire che li voleva abbracciare ma che non sapeva come fare.

In aereo, durante il suo viaggio di ritorno, si ricordò di quando a diciott'anni, per la prima volta, col suo primo fidanzatino, si erano abbracciati. Lei non riusciva ad abbracciarlo, a lasciarsi andare e non riusciva nemmeno a farsi abbracciare. Rimaneva pietrificata, come se qualcuno le volesse fare del male. Non sapeva ricevere né tanto meno stringersi ad un altro corpo. Stephen, il ragazzo che la cingeva a sé, la accarezzò dicendole con estrema dolcezza "Povera, non sai neanche abbracciare..." poi la strinse forte sussurrandole all'orecchio "Lasciati andare...nessuno ti farà male..." e da quel giorno Rachel cominciò a rischiare, per la prima volta dopo tanti anni.

Sì qualche volta le capitò anche di soffrire, di essere rifiutata, ma gli attimi che trascorreva mentre faceva fluire amore dal suo corpo verso un'altra creatura e quelli in cui riceveva affetto e amore, valevano sempre e comunque il rischio di un rifiuto.

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